
Moreno Montanari in La filosofia come cura (Unicopli, 2007) scrive:
Se utilizzeremo la vita per prepararci alla morte questa ci renderà il favore preparandoci alla vita già adesso, per non apprezzarla solo quando ormai è troppo tardi. Certo, osserva Rinpoche:
“Se la morte avvenisse un’unica volta, non avremmo modo di conoscerla. Ma, per nostra fortuna, la vita è una continua danza di nascita e morte, la danza del cambiamento. Quando ascolto il rumore di un torrente in montagna, le onde che si frangono sulla spiaggia o il battito del mio cuore, sto ascoltando il suono dell’impermanenza. Tutti questi mutamenti, queste piccole morti, sono la nostra viva connessione con la morte. Sono le pulsazioni della morte, il battito del suo cuore, che ci spingono a lasciar andare le cose che afferriamo.
Lavoriamo con questi cambiamenti adesso, mentre siamo vivi: ecco il vero modo per prepararsi alla morte. Il dolore, la sofferenza e le difficoltà della vita sono opportunità che ci vengono date per aiutarci a progredire verso l’accettazione della morte. Solo quando crediamo che le cose siano permanenti, ci neghiamo la possibilità di imparare dal cambiamento. (…). Siamo spaventati dal lasciar andare ma, in realtà, siamo semplicemente spaventati dal vivere, perché imparare a vivere è imparare a lasciar andare. Qui sta la tragica ironia della nostra lotta per trattenere le cose: non solo è impossibile, ma ci provoca proprio quella sofferenza che vogliamo evitare” (Sogyal Rinpoche, Il libro tibetano del vivere e del morire, Astrolabio-Ubaldini, Roma 2004).